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Nov
08

Riforma del catasto: sarà la volta buona?

Se ne parla dagli anni ’90 o forse anche da prima, ma solo adesso con la delega fiscale approvata dal Consiglio dei Ministri n.39, l’esecutivo ha il compito di riformare il catasto nei prossimi 18 mesi.

Rivedere le rendite catastali degli immobili situati su tutto il territorio nazionale è da molti anni una priorità. In Italia ci sono circa un milione di immobili fantasma, cioè ancora sconosciuti al catasto, e moltissimi altri, invece sono valutati sulla base di parametri che già da decenni non corrispondono agli effettivi valori di mercato (ma non solo), dando luogo a profili di iniquità connessi alla effettiva capacità contributiva dei possessori.

Cos’è il catasto?

Il catasto è l’inventario di tutti i beni immobili, terreni o fabbricati, esistenti sul territorio dello Stato, sia di proprietà pubblica che privata.
I dati in esso presenti hanno una fondamentale funzione fiscale, economica, civilistica, giuridica e topografica. Il catasto attuale presenta delle forti criticità, proprio alla luce delle informazioni essenziali in esso contenute e rispetto al suo utilizzo rispetto alle scelte di politica fiscale e locale nel settore immobiliare.

Le attuali rendite catastali degli immobili, ad esempio, si attribuiscono sulla base di tariffe d’estimo (le tariffe utilizzate dallo Stato e dall’amministrazione tributaria per determinare il reddito generato da un bene immobile) individuate alla fine degli anni Trenta del secolo scorso. Sebbene rivalutate con l’introduzione di un moltiplicatore, non sono più in linea con i valori di mercato, soprattutto per come questi tendono a mutare dinamicamente nel corso degli anni.
Ad esempio, non c’è omogeneità fra i valori catastali e quelli di mercato, non solo fra le diverse aree del Paese, ma anche all’interno di uno stesso Comune (in cui lo sviluppo delle città ha portato ad un aumento di servizi e infrastrutture, o a differenze abissali di valori di mercato fra i centri storici e i quartieri nuovi. Si parla, infatti, di valori addirittura quadruplicati per gli immobili dei centri storici).
Tutto questo porta, ovviamente, a grandi disparità sia considerando immobili di diverso pregio, che immobili simili.

La riforma del catasto nella legge delega

La riforma del catasto è indicata dal PNRR ed è l’articolo 7 della legge delega – “Modernizzazione degli strumenti di mappatura degli immobili e revisione del catasto fabbricati”- che ci indica le direttrici su cui si dovrà muovere il Governo.

In primo luogo, infatti, si prevede l’introduzione di strumenti volti a facilitare l’individuazione e la ricognizione degli immobili non censiti, o che non rispecchiano nel loro uso reale la categoria catastale, o abusivi, o terreni agricoli divenuti poi edificabili. Si prevede, poi, una condivisione di dati fra l’Agenzia dell’Entrate e gli Uffici Comunali.

In secondo luogo, si prevede la creazione di un sistema catastale che prenda in considerazione non solo la rendita, ma anche il valore patrimoniale del bene censito. Entro 5 anni e quindi a partire dal 1° gennaio 2026, infatti:

  • ad ogni immobile, verrà attribuito il relativo valore patrimoniale con una rendita attualizzata ai valori di mercato;
  • verrà effettuato un adeguamento periodico dei valori patrimoniali delle unità immobiliari tenendo conto dell’andamento del mercato;
  • verranno previste delle agevolazioni specifiche per gli immobili di interesse storico o artistico, considerando l’onerosità degli impegni di manutenzione e conservazione e dei vincoli previsti per il loro uso (che ne riducono spesso la redditività).
Punti controversi della futura riforma

Il punto controverso dell’impostazione di questa riforma, riguarda la possibilità che, fra cinque anni, le nuove rendite, per come verranno calcolate, saranno utilizzate come basi imponibili delle imposte. Nonostante le rassicurazioni dell’attuale Governo, si tenga conto che il sistema tributario italiano, prevede varie imposte e tasse che hanno, per l’appunto, come base imponibile il valore dell’immobile o la rendita catastale. Il primo pensiero va all’IMU, ma, ovviamente non è l’unico esempio (Tari, Tasi, solo per fermarsi nell’ambito dei tributi locali).

Se da un lato la necessità di uno strumento più aderente alla realtà attuale e più trasparente e moderno verrà soddisfatta, dall’altro, come fare a immaginare che la riforma di uno strumento che ha fini fiscali (vedi sopra) non comporti effetti fiscali?

Ne riparleremo fra cinque anni.

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